Bergamo allo stremo: Diego, operatore 118 morto a 47 anni era tra i 700 sanitari già positivi
É un escalation quotidiana, quella dei numeri dei morti per Coronavirus in Lombardia arrivati ieri a 966, 76 in più rispetto al giorno prima, un numero triplicato nel giro di 5 giorni che ha creato problemi non solo nella gestione dei pazienti ma anche dei defunti. «Una crescita costante» di contagi e decessi, per utilizzare le parole dell’assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera, che non riguarda solo gli anziani. Tanto che la Regione ha fatto una scelta drastica: ha convocato Guido Bertolaso come «consulente» del governatore Attilio Fontana per la realizzazione dell’ospedale Covid alla Fiera di Milano: «Come potevo non aderire alle richieste del presidente della Lombardia di dare una mano nella epocale battaglia contro il Covid-19 se la mia storia, tutta la mia vita è stata dedicata ad aiutare chi è in difficoltà e a servire il mio paese?», ha detto Bertolaso aggiungendo: «Se ho aperto l’ospedale Spallanzani vent’anni fa ed ho lavorato in Sierra Leone durante la micidiale epidemia di ebola forse qualcosa di utile con il mio team spero di riuscire a farlo».
Intanto in Lombardia c’è da registrare la morte di Diego Bianco, un operatore 47enne della centrale operativa del 118 di Bergamo che era stata chiusa e sanificata, anche perché altri operatori avevano accusato sintomi ed erano stati a casa.
Nessuna conferma ufficiale della Regione, ma i suoi colleghi soccorritori non hanno nessun dubbio. «Diego era uno dei 700 operatori sanitari, medici, infermieri, soccorritori, oss che già sono stati contaminati», hanno scritto su Facebook chiedendo protezioni adeguate. Non aveva altre patologie. Lascia la moglie e un figlio.
E proprio sulle mascherine si è consumata un’altra giornata di polemiche fra la Lombardia e la Protezione civile. A innescarla l’invio di 200 mila mascherine «non idonee» e senza la certificazione Ce.«A noi servono mascherine del tipo fpp2 o fpp3 o quelle chirurgiche – ha spiegato Gallera – e invece ci hanno mandato un fazzoletto, un foglio di carta igienica, di Scottex». Pronta la replica del ministro Boccia: «Abbiamo mandato 550 mila mascherine, altro che carta igienica». E anche se il presidente della Regione Attilio Fontana ha insistito nel dire che non c’è alcun intento polemico, sul fondo dello scontro rimane proprio il tema dell’apertura di un ospedale con 500 posti di terapia intensiva nei padiglioni della Fiera di Milano perché la Protezione civile (ma nemmeno altri al momento) non si è detta in grado di fornire le attrezzature e il personale. Un problema di posti in terapia intensiva più grave di quello, comunque importante, che si sta verificando in obitori e camere mortuarie.
Per capire le dimensioni basta pensare che sul solo Eco di Bergamo oggi c’erano 11 pagine dedicate ai necrologi. Anche le pompe funebri si trovano a non poter accogliere tutte le richieste. Così a volte le ditte arrivano da fuori. A Bergamo la chiesa del cimitero è stata trasformata in una camera ardente, a Cremona stesso destino è toccato alla cappella dell’ospedale Maggiore, mentre a Brescia il vescovo ha dato la disponibilità a individuare qualche chiesa in cui ricoverare le salme in attesa della sepoltura. A Milano il Comune ha messo a disposizione cento posti nell’obitorio e ha cambiato il regolamento riducendo da 30 a cinque i giorni per decidere dove seppellire i defunti.
Troppe anche le richieste di cremazione, che non si riescono ad evadere, motivo per cui il prefetto di Brescia, Attilio Visconti, ha invitato a scegliere forme di sepoltura tradizionali. I prefetti, per fare fronte all’emergenza, hanno autorizzato i medici a rilasciare i certificati di morte anche prima dei tre giorni e le salme potranno essere depositate anche nei loculi zincati.
Un dramma che riguarda non solo i morti, ma anche i vivi con le famiglie costrette a riconoscere i loro cari solo a distanza e senza poter celebrare il funerale. In molti, oramai, hanno salutato il loro parente per l’ultima volta quanto è stato portato in ospedale, poi non l’hanno più visto «neanche dopo morto»: le famiglie spesso sono in quarantena a casa «senza poter assistere alla chiusura della bara» e talvolta aspettano la fine del periodo di isolamento per la veloce cerimonia funebre.